Allarme acqua in Veneto a causa dell’alta concentrazione di PFAS nelle falde acquifere di molti Comuni.
Che cosa sono i PFAS? Sono sostanze chimiche dette “perfluoroalchiliche”, utilizzate durante la produzione dei rivestimenti delle pentole antiaderenti o degli indumenti in Goretex. Queste sostanze con caratteristiche persistenti, bio-accumulabili, tossiche e classificate come cancerogene di livello 2B alterano il normale funzionamento del sistema endocrino (per questo vengono chiamati anche interferenti endocrini) e quindi con la regolazione della produzione di ormoni e il normale funzionamento del sistema ormonale.
Quali SONO le aree coinvolte?
Le dimensioni del fenomeno di contaminazione hanno spinto l’ARPAV a parlare di valenza europea, stiamo parlando di un’area di estensione superiore ai 150 km² che interessa circa 350 mila persone. Ad oggi a rischio sono 31 comuni (poi ridotti a 29 dopo l’esclusione di Trissino e Montebello) nelle province di Vicenza, Padova e Verona dovuto allo sversamento trentennale da parte dell’azienda Miteni di Trissino. Già nel 2013 l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale (ARPAV) aveva pubblicato un’indagine compiuta in seguito di una comunicazione da parte del Ministero dell’Ambiente sullo stato dell’inquinamento da sostanze perfluorocalchiliche nelle provincie di Vicenza, Padova e Verona individuando la sorgente della contaminazione in corrispondenza dell’area di pertinenza dello stabilimento chimico Miteni Spa di Trissino dalla quale tramite il torrente Agno si propaga il flusso di contaminazione in falda.

Monitoraggio ARPAV in Veneto
Quali misure da parte della Regione Veneto?
Nel 2013 sono iniziate le analisi che hanno dimostrato che il flusso di propagazione in falda si sviluppa dal comune di Trissino (nel vicentino) per poi aprirsi in due (una verso est e una verso sud) in prossimità di Montecchio. La propagazione pare essere avvenuta sia tramite i corsi d’acqua superficiali che quelle sotterranei. Sono decenni che le sostanze inquinanti, utilizzate per trattare prodotti in Goretex e Teflon, potrebbero essere finite nel ciclo alimentare umano: una volta contaminate le falde acquifere i PFAS possono entrare nella catena alimentare e per questo sono stati analizzati numerosi alimenti destinati al consumo umano sia di origine animale che vegetale.
La Regione Veneto ha reso noto da poco i risultati delle analisi del sangue effettuate su un campione di 507 cittadini, 257 residenti nei comuni all’interno dell’area esposta alla contaminazione definiti “ad esposizione incrementale” (Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarago) e 250 abitanti di altrettanti comuni veneti di un’area definita “di controllo” (Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso). Tutti i soggetti dovevano essere residenti nell’area da almeno dieci anni.
Quali rischi per l’uomo?
Comuni Veneti esposti al PFAS
Per nove delle sostanze analizzate sul campione di abitanti (PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFOA, PFOS e PFDoA) le concentrazioni del siero dei residenti in sei Comuni a esposizione incrementale sono risultate significativamente superiori (p<0.05) a quelle dei residenti dei comuni dell’area di controllo. Ma a preoccupare maggiormente è il fatto che nel sangue dei soggetti residenti nella fascia esposta siano state rilevate concentrazioni di PFOA mediamente dieci volte superiori a quelli dei cittadini della zona di controllo.
Misure cautelative per la popolazione
La Regione Veneto ha deciso di sottoporre a uno screening dei marcatori tumorali 250 mila cittadini residenti nei comuni ritenuti esposti alla contaminazione. Al momento si ritiene che l’acqua degli acquedotti sia sicura, anche se l’Arpav sta studiando ulteriori misure precauzionali per ridurre i rischi di contaminazione. A dover essere abbeverati con acqua potabile saranno anche gli animali da allevamento, per evitare che i contaminanti presenti nelle falde e nei pozzi possano entrare nella catena alimentare. Mancano invece i risultati delle analisi di quei 120 campioni prelevati agli operatori delle aziende zootecniche ovvero coloro che lo studio considera le persone maggiormente esposte al rischio di contaminazione.
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